L’isola degli Internati, il rifugio di Antonio Ligabue
A nord del paese di Gualtieri, attraversando, affiancati da alti Pioppi, viale Po che dalla Strada S.62 conduce fino alle rive del Grande fiume, si incontra sulla sinistra, a circa metà del rettilineo, la pista ciclabile che costeggia la golena gualtierese. Percorrendola fino al luogo dove sorgeva un tempo il porto vecchio, vicino alla “lanca”, ci si può addentrare in un lembo di terra, bagnato dal Po, che costeggia tutto l’argine di Gualtieri ed è uno degli spazi invisibili più caratteristici della Bassa reggiana. Oggi silenziosa oasi naturalistica, l’Isola degli Internati porta questo nome perché nel 1945 fu data in gestione ad una cooperativa agricola di ex prigionieri della seconda guerra mondiale, affinché potessero avere un reddito con lo sfruttamento del legname. A ovest sorgeva il porto vecchio, antico attracco del traghetto a fune che trasportava gli operai a Pomponesco, oggi interrato. Camminando sull’isola, verso ovest, in direzione del paese di Boretto, si possono scorgere nei periodi di magra del fiume tre relitti, risalenti alla seconda guerra mondiale, di navi che sono state bombardate e affondate durante un violento conflitto a fuoco. La scoperta è stata fatta nel novembre 2006, a seguito di una grande secca che ha fatto riaffiorare dal passato le due navi e una pirodraga, un tempo adibite al trasporto di prodotti agricoli, di carbone e di massi destinati all’edificazione di infrastrutture. Vista l’impossibilità di riutilizzare i natanti, neppure il ferro di cui sono realizzate, la città di Gualtieri ha deciso di lasciarle là dove sono affondate, per non dimenticare con mestizia la memoria del luogo e della storia perduti. In questi paesaggi, tra i Pioppi e le nebbie della golena visse per lunghi periodi il pittore e scultore Antonio Ligabue: qui spesso si rifugiava quando entrava nelle sue profonde e tormentose crisi e si sentiva rifiutato dalla comunità. Espulso dalla Svizzera dove nacque (1899) e visse fino a vent’anni d’età, viene inviato a Gualtieri, comune d’origine del padre adottivo, dove lavora come giornaliero. Appreso, dal pittore Renato Marino Mazzacurati, l’uso dei colori, l’arte diventa per Antonio l’unico riscatto dal dolore della sua vita, fatta di violenze, malattie mentali, espulsioni, reclusioni, fughe in perenne ricerca di una libertà che lo condusse all’isolamento e alla solitudine, portandolo a vivere come un selvaggio nei boschi e nelle golene del Po. Sarà proprio questo stile di vita primordiale, che “ripercorre il mito del genio contadino”, a suscitare grande interesse e curiosità da parte della critica. L’iconografia del pittore, da molti definito naïve, punta, oltre agli autoritratti ossessivamente frequenti, su animali domestici e, ancor più, esotici, mentre lottano e si azzuffano. Le figure sono piatte, i colori accesi e violenti, i contorni “agitati”, gli ornamenti eccessivi (come nelle pelli degli animali o nei fantasiosi serpenti…). L’eccitazione artistica emotiva che ne scaturisce è la proiezione di una tensione personale, la messa in scena del proprio dolore esistenziale, del tormento dell’anima, che “grida” attraverso la pittura, trovando la propria voce e il proprio riscatto. Una imperdibile raccolta delle opere di Ligabue si trova all’interno della Sala di Giove di Palazzo Bentivoglio.
- Sul Po, lembo di terra sull’argine di Gualtieri (Reggio Emilia)
- latitudine 44,9203°
- longitudine 10,6163°
- altitudine 20m l.d.m.
Bibliografia e Filmografia essenziale
Sergio Negri, Marzio Dall’Acqua, Raffaele De Grada, Antonio Ligabue, Parma 1995.
AA.VV., Antonio Ligabue: tra primitivismo e arte colta, Milano 1986.
Antonio Ligabue. Espressionista tragico, a cura di Sandro Parmiggiani, Milano 2005.
Ligabue, 70′, regia di Salvatore Nocita, 2009 (rimasterizzazione del film del 1978).